martedì 27 settembre 2011

Storiella per "C'è una valle"

2 Commenti



Terminata la manifestazione "C'è una valle" di cui parlerò in un prossimo post ecco qui una storiella simbolica che ne racconta la genesi:


La valle incantata.

Ai piedi di una Montagna Incantata c'è una valle triste e grigia abitata da esseri che hanno perso la loro gioia interiore. Un giorno il Vecchio Saggio Della Montagna Incantata, colui che gli indiani Vhaal Theli chiamano Ulvardaamhaiisopeeh che tradotto nella nostra lingua significa "Colui che guarda lontano" si svegliò dal suo sonno millenario e uscito dalla sua grotta guardò giù e ciò che vide non gli piacque: vide che i boschi erano stati tagliati per fare posto a grandi scatole di cemento, vide esseri senza volto correre veloci su grandi carri d'acciaio senza che sapessero il senso del loro correre, vide i prati e gli alberi pieni di veleni, e gli animali chiusi in prigioni e incatenati. Il suo cuore divenne triste.
Così scese a valle: gli esseri tristi e grigi lo ignoravano ma qualcuno si accorse di lui: il primo fu il gatto Pinci colui che gli indiani Vhaal Theli chiamano Elsheramailabuhhca che nella nostra lingua vuol dire: "Colui che ama parlare"; il gatto Pinci chiese al Vecchio Saggio Della Montagna:
"Dove vai?",
"Vado a portare luce nella nebbia" rispose questo e il gatto Pinci:
"Allora ti seguirò."
Così si avviarono ed erano in due.
Cammina cammina arrivarono in un bosco, qui Norby lo scoiattolo, colui che gli indiani Vhaal Theli chiamano "Ulcraapaadhura" ovvero "Colui che è sicuro dei suoi pensieri", quando li vide gli chiese:
"Dove state andando?"
"Andiamo a portare la speranza nei cuori" risposero, e Norby:
"Allora vi seguirò." ed erano in tre.
Cammina cammina arrivarono in una grande fabbrica ecologica, a km 0 alimentata a pannelli solari, e incontrarono l'automa PTY BVO, colei che gli indiani Vhaal Theli chiamano "Laastàfhermaggnaselulalighet" che nella nostra lingua significa:"Colei che lavora alacremente" che chiese ai viandanti:
"Dove state andando?"
"Andiamo a portare serenità nelle anime."
"Allora vi seguirò" e si incamminarono ed erano in quattro.
Cammina cammina arrivarono in una radura e qui incontrarono il maiale Big Gin, colui che gli indiani Vhaal Theli chiamano "Lèpusèlaarchchelunc" che tradotto nella nostra lingua significa: "Colui che è leggermente sovrappeso."
"Dove state andando?" chiese Big Gin.
"Andiamo a portare purezza nei respiri."
"Allora vi seguirò" ed erano in cinque.
Cammina cammina arrivarono in una giungla e qui incontrarono il gorilla Doriadan, colui che gli indiani Vhaal Theli chiamano: "Elrithognivulthachelnaashununichorn" che tradotto nella nostra lingua significa: "Colui che è serio".
"Dove andate?"
"Andiamo a portare il sentire negli spiriti"
"Allora vi seguirò" ed erano in sei.
Cammina cammina arrivarono sulla riva del fiume che scorre in mezzo alla valle proprio in vista di un antico ponte e qui sedettero su un prato e parlarono e confabularono per giorni che divennero settimane, per settimane che divennero mesi; ma alla fine quando ebbero finito alzarono gli occhi e videro che che attorno a loro c'era tantissima gente: e chi dipingeva i muri, e chi andava in bicicletta, e chi accarezzava un asino, e chi mangiava cibi senza polveri malefiche, e chi faceva ciò che pulisce, e chi si incontrava e condivideva la sua energia per rendere più bella la valle, e chi aiutava a guarire i corpi, e chi aiutava a guarire gli spiriti.
E la nebbia si diradò, tornò la speranza, tutti divennero sereni respirando aria pura e sentirono di appartenere a un mondo vivo.

giovedì 22 settembre 2011

L'ordine nel cosmo.

2 Commenti


Qualche anno fa quando avevo cominciato ad insegnare entrato nella scuola avevo un atteggiamento spregiudicato; per anni avevo frequentato la scuola da studente e nella mia testa avevo osservato tutte le cose che non andavano e finalmente trovandomi io dall'altra parte avevo la possibilità di sistemare un po' le cose ma il mio comportamento attirò l'attenzione ...
Alla fine di un collegio docenti (ovvero la riunione periodica di tutti gli insegnati di una scuola) il preside prese la parola e cominciò a parlar di certi insegnati e a elencare tutte le loro malefatte: predicava a gran voce, era molto agitato e nell'aula si era fatto un silenzio assoluto; la maggior parte delle malefatte (a suo vedere) di questi insegnati erano mio. Mentre continuava la predica e io me ne stavo li apparentemente imperturbabile, il telefono che tenevo nella tasca della camicia sulla parte sinistra del petto cominciò a vibrare, avevo tolto la suoneria e lasciato la vibrazione, e lo fece più volte.
Finita la riunione io me ne andai molto preoccupato ma anche intenzionato a non mollare: per me quel preside rappresentava i mali della scuola. Ad ogni modo dopo circa un ora guardai il telefono e chiamai la mia amica che mi stava chiamando, era preoccupata per me per quello che mi stava succedendo, più tardi lessi una mail che mi aveva mandato per via del fatto che non rispondevo in cui mi scriveva: ma che ti sta accadendo? Nonostante stesse a una centinaia di chilometri di distanza da me aveva percepito l'avvenimento e mi aveva contattato facendomi capire non ero solo: il suo supporto fu fondamentale: quello fu un momento di passaggio nella mia vita, e che forse non riguarda solo questa vita, in cui ebbi  ebbi una profonda trasformazione e il cosmo, tramite lei mi assistette e mi supportò.

Un altro episodio vi voglio raccontare, io spesso porto un moschettone attaccato ai pantaloni: non mi serve a niente lo metto perché mi piace, ora qualche anno fa lo persi e non riuscivo a trovarlo, dopo qualche mese andai a mangiare una pizza nella mia solita pizzeria e il gestore che mi conosce venne al mio tavole e mi restituì il mio moschettone che avevo lasciato in pizzeria. Dopo pochi giorni iniziai un nuovo lavoro: facevo l'insegnate di sostegno a un disabile, era un sostegno a domicilio, cosa più unica che rara per cui ogni mattina andavo in casa sua. Il ragazzo un cerebroleso tetraplegico si innamorò subito del mio moschettone e cercava in ogni modo di afferrarlo: lui riesce in qualche modo a muovere le mani ma non riesce a coordinare i movimenti: il mio moschettone si trovò così al centro di molte vicende che portarono a una crescita di consapevolezza di tutti i presenti: cioè io, lui e i suoi genitori. Il cosmo mi riportò l'oggetto perché entrava nei suoi, del cosmo, progetti (così la penso io).

Questi e altri avvenimenti mi hanno convinto che esiste un ordine nel cosmo, che quello che avviene non è casuale ma fa parte di uno o più disegni; noi viviamo questa vita attuale per migliorare noi stessi e il mondo che ci circonda; per costruire una maggiore consapevolezza della realtà; per entrare in contatto con noi stessi, con gli altri esseri viventi, con ciò che è presente nel cosmo; per aprirci all'amore e alla luce; per sanare i nostri mali e arrivare ad una autentica guarigione: Tutti viviamo in relazione con il mondo e esiste quello a cui varie culture danno nomi diversi: uno spirito santo (per noi), una baraka (per i mussulmani), un prana (per gli indiani), un tao (per i cinesi), un reiki (in giappone) o un fluido o energia in un linguaggio new age, che mette un ordine all'interno di un cosmo che appare caotico. Gli antichi si rappresentavano tutto ciò con le Parche che tessono il fato di ogni uomo.

domenica 18 settembre 2011

Math for fun: I numeri e il contare.

2 Commenti

Dopo aver appreso che possediamo il concetto di unità e la capacità di contare fino a quattro possiamo cominciare a costruire la matematica. E così cominceremo a familiarizzare con il concetto di quantità per poi scoprire che non è così immediato e, a mio parere, da molte persone, forse la maggioranza, tale concetto non è posseduto.
Pensiamo per un attimo di tornare indietro di alcune decine di migliaia di anni, viviamo in una tribù di cacciatori raccoglitori, il nostro scopo principale è procurarci il cibo per noi stessi e per la nostra famiglia in modo da riuscire a sopravvivere: per i maschi la principale occupazione è la caccia, le femmine invece sono impegnate nel raccogliere il cibo che trovano e nell'accudire i figli. E la matematica? Eppure è in questo periodo che comincia a svilupparsi e a mio parere per una ragione funzionale: avere successo e sopravvivere.
Come ho detto nel post precedente molte tribù primitive sanno contare solo fino a quattro e a più di quattro ci sono i "molti": siamo nella preistoria competiamo con una tribù nemica e si avvicina la guerra: è il caso di combattere? quali possibilità abbiamo di vincere? Supponendo che i nostri nemici sono valenti guerrieri come noi per stabilire se è il caso di combattere dobbiamo valutare le forze in campo e per capire chi vincerà la guerra: questo punto forse è il caso di cominciare a contare.
Nel film cult del trash: "Attila flagello di dio" con Diego Abatantuono gli "sbarbari" non sanno contare e per far questo usano dei bastoncini che associano al numero delle cose che vogliono contare, forse questo è successo fra i nostri progenitori ed è da li che è partita la matematica; noi proviamo a lavorare a un livello più complesso e per contare cominciamo a lavorare con l'astrazione come fecero i nostri progenitori. Questi in epoca antichissima si inventarono una filastrocca e questa filastrocca la associarono alle dita delle mani (il perché è ovvio: tutti le possediamo e le abbiamo facilmente a disposizione): uno due tre quattro cinque sei sette otto nove dieci: la cosa fondamentale di questa filastrocca, che faccio notare non sono altro che dei suoni che emettiamo con la bocca, è l'ordine con cui la si pronuncia: infatti se non avesse un ordine definito: se fosse in un occasione fosse: tre, cinque, sei, otto, ... in quella successiva: nove, uno, sei, ... non sarebbe di alcuna utilità.


Per contare perciò non si fa altro che prendere degli oggetti simili (che sono UN gruppo di oggetti) e ad ognuno di essi associare un numero (ovvero una parolina della filastrocca che in fondo non è altro che un suono) partendo sempre da uno fino ad esaurire gli oggetti simili del determinato gruppo. A questo punto abbiamo il primo significato dei nostri numeri (sempre intesi come paroline, "suoni", della filastrocca): è una sorta di etichetta mentale che noi associamo a ognuno degli oggetti di un gruppo: come quando si gioca a bandiera e si chiama il numero sei a questo punto le persone che hanno quell'etichetta scattano e corrono.
Fatto ciò io penso che già qui sul contare comincino le prime famose lacune della matematica: tale procedimento va infatti interiorizzato fino al punto di eseguirlo correttamente senza alcuna indecisione altrimenti si partirà col piede sbagliato e quel bambino o bambina svilupperà una difficoltà nella matematica cronica, sopratutto deve essere immediata e interiorizzata l'associazione tra suono e oggetto altrimenti la filastrocca è priva di significato. Per cui a mio parere quando si insegna a contare ai bambini si deve fin da subito proporre degli utilizzi come si fa ad esempio nelle scuole Steineriane in cui si insegna a contare camminando e ogni numero è un passo, oppure facendo dei giochi come ad esempio bandiera in modo che il bambino acquisisca in modo naturale (ovvero inconscio) e corretto la capacità di associare l'etichetta mentale astratta all'oggetto contato (sulla capacità di astrazione e contemporaneamente di trovare la relazione tra l'astratto e il reale tornerò spesso perché ritengo che la principale ragione per cui l'insegnamento della matematica è fallimentare sta in questo).
Ora che sappiamo contare possiamo affrontare il concetto di quantità: infatti la quantità è l'ultima parolina della filastrocca che finisce col definire il numero degli oggetti: dunque se io ho sette oggetti (sette mele) l'ultima etichetta che metto: il sette, finisce coll'avere due significati: da un lato rappresenta l'etichetta che ho messo ad un oggetto, e contemporaneamente definirà la quantità del gruppo di oggetti (di mele). Credo che questo doppio significato spesso non venga colto dai bambini e anche qui si crea già una seconda lacuna: è una confusione che resterà dentro nella testa di quell'individuo probabilmente per il resto della vita ponendolo in uno stato di confusione e di frustrazione che lo porterà ad odiare la matematica e a non coglierne la bellezza e la potenza.

Sette è associato a una mela specifica ma anche a tutte messe assieme.

Ora dopo tutto questo il mio invito è a mettere in pratica la matematica nella vita quotidiana ovvero a osservare gruppi di oggetti, contarli, e associare ad essi mentalmente la quantità; so benissimo che questo lo sanno fare tutti i miei lettori ma ad ogni modo credo che vada ripetuto in modo da interiorizzarlo perché siamo capaci tutti di spingere con le dita un tasto di un pianoforte e ottenere un suono ma per saper suonare quella è un altra cosa, per sapere fare quello si deve acquisire la sensibilità nelle dita provando e riprovando, un concetto analogo credo che valga per la matematica.
Detto questo torniamo ai nostri progenitori e alla loro battaglia per la sopravvivenza: ipotizziamo che noi abbiamo acquisito il contare e la prima matematica e i nostri nemici no: noi possiamo associare al nostro gruppo un numero: ad esempio un bel DIECI, i nostri nemici però non sanno contare ma noi a loro associamo un misero OTTO: noi sappiamo che dieci è di più di otto, viene DOPO nella filastrocca, per cui capiamo di essere in maggior numero e che siamo favoriti nella battaglia, i nostri nemici sanno solo di essere molti contro i molti di noi e accettano la battaglia invece di ritirarsi e cercare rinforzi: non hanno la matematica: haimè errore fatale! Si consuma la loro sconfitta e la scomparsa loro e della loro discendenza: la conquista della matematica ha permesso di sopravvivere per cui la tribù con la matematica è sopravvissuta e l'altra è scomparsa!

mercoledì 14 settembre 2011

Lo spazio

0 Commenti



Anni fa quando abitavo a Milano un mio coinquilino, che abitava nella stanza più piccola dell'appartamento aveva l'abitudine di portarci dentro un mucchio di cose che raccoglieva qua e la, un giorni arrivò addirittura con un semaforo vero; lui mi ispirò questo racconto:


Lo spazio

Spesso ciò che sembra facile e banale, ciò che per tutta la vita ci è sempre stato così familiare da non attirare minimamente la nostra attenzione, se per un attimo ci si ferma a rifletterci sopra, si scopre essere pieno di inaspettati risvolti: è in realtà un misterioso mondo da esplorare. E ci si espone ad un grave pericolo: che tale mondo si dilati così tanto da invadere tutti i nostri pensieri, tutta la nostra vita, fino al punto che questo finisce per ingoiarci completamente.
Per me quel qualcosa è lo spazio. Da anni lo studio, scopro che è associato al tempo, persino che è curvo, e comprendo pure ciò che questo vuol dire, il fatto che è curvo intendo, e di esso scopro sempre più cose che non fanno altro che porgere nuove domande. Il concetto di spazio si dilata così, come lo spazio primordiale fece al tempo del Big Bang, fino a che ora mi sento completamente avvolto da esso: la mia mente non è attratta da altro e ora; forse è troppo tardi per me, mi accorgo del fatto di essermi perso in un labirinto, che, ahimè, temo sia  infinito.
Ma per fortuna in tale labirinto non sono solo. L’altro che qui vive con me è giunto per vie molto diverse da quella che ho io percorso, e ciò era inevitabile viste le enormi differenze che ci sono tra noi: tanto io sono speculativo ed astratto, tanto lui è razionale e concreto, tanto io vago alto nel cielo, tanto lui è ancorato alla terra. Eppure entrambi siamo arrivati qui: nel medesimo punto dello spazio e del tempo.
L’altro vive in un angusto pertugio, questo fatto non attira la mia attenzione, ciò che invece è interessante, ciò che è strano, è il fatto che continui a portarvi dentro oggetti. Così io passo intere giornate ad osservare il suo andirivieni: entra nel suo piccolo mondo con molte cose e ne esce vuoto. Ho stimato che in circa due settimane ciò che dentro vi porta occupa esattamente lo stesso volume che ha a disposizione, ciò nonostante sono secoli che là dentro ci porta di tutto. E fuori non porta mai nulla! Non oso interrogarlo su ciò che fa, come potrei invadere la sua privacy?, ma il dilemma intellettuale resta e la mia mente speculativa non può fare altro interrogarsi.
“Buon giorno.” Lo saluto al mattino.
“Buon giorno,” Mi risponde.
Se non fosse così indaffarato nel portare oggetti là dentro nel suo pertugio potrei forse attaccare bottone, offrirgli un caffè, portare abilmente la conversazione sull’argomento che mi interessa. Sono solo dei sogni, lui vive di corsa mentre io meditabondo cammino.
Due settimane fa è stata l’ultima volta che l’ho visto, mentre entrava nel suo mondo con una scrivania; ma poi, da allora, non è più uscito; lo so in quanto sto accampato qua fuori: dirimpetto il suo uscio: a tanto mi spinge la mia curiosità.
Ora non posso più restarmene coi miei dubbi, attendere che qualcosa succeda, solo io so della sua esistenza, qua noi siamo soli, devo pur entrare per prestargli soccorso. So che questa è una scusa, è la mia curiosità che mi spinge; ma è pur sempre una buona scusa!
E così mi avvicino alla porta del suo pertugio, e col cuore in gola la apro…
Dopo un attimo di smarrimento mi riprendo e inizio a guardare dentro. Ovunque cadono i miei occhi vedo un oggetto diverso, se lì volgo in un'altra direzione su tale oggetto non li riporto più. E’ tutto davanti a me, a uno o due metri dal mio naso, ma sono tante e tali le cose lì dentro che spostando di un secondo di grado il mio sguardo ciò che vedo non ha più nulla a che fare con ciò che vedevo prima: non esistono punti di riferimento!
Da circa una settimana lo sto cercando, spero che i miei occhi, che punto, ipnotizzati da tante cose, in ogni direzione, cadano su di lui; ma tutto è inutile; sento il suo respiro che per la paura si fa affannoso, sento dentro di me il gelido terrore che lo avvolge. Forse un crollo o forse un minimo movimento ha fatto si che gli oggetti abbaiano cambiato posto in massa, forse per un effetto domino, e ciò che sembrava familiare e solido si è scoperto essere retto da un fragile equilibrio: lui si è perso nel suo mondo, sarà a un metro da me ma è impossibile che io riesca a trovarlo.
… come un impulso a fare un passo per andare a salvarlo … in un istante sono consapevole che sarebbe la fine: anche io mi perderei! Sono sull’orlo di un baratro: un senso di vertigine mi assale, le gambe si fanno molli, e un senso di paura mi fa scappare via. E corro, senza guardare dove vado, vado veloce e potrei perdermi, anzi mi sono di sicuro perso: sono in un labirinto, ma che importa?, la mia paura è troppo grande. Quando riapro gli occhi, d’impulso, mi ritrovo in una via affollata nei pressi di casa mia: sono sfuggito dal labirinto di idee dove ero prigioniero; o forse, chissà, è questo che si è disciolto: sono libero!
Sono passati gli anni, ma a volte mi sorprendo a pensare ancora a lui: avrà trovato la via per sfuggire o ancora sarà prigioniero di quello spazio che ha troppo riempito?

domenica 11 settembre 2011

Io ho un sogno.

0 Commenti

Io ho un sogno.

Io sogno che gli uomini e le donne si ritrovino tutti assieme nei templi indipendentemente dal loro pensiero e credo: indipendentemente dal fatto che pensino o non pensino, che credano o non credano, che Gesù figlio di Giuseppe sia il salvatore dell'umanità; che Maometto abbia ricevuto da Allah un libro sacro; che viviamo molte vite cicliche; che il motore del mondo è l'equilibrio del Tao.

Io ho un sogno, che le persone si ritrovino in un tempio indipendentemente dal loro pensiero e credo sul fatto che Dio esista o non esista, che esista o non esista un anima immortale, che la natura è permeata o non permeata da un o spirito santo o prana o reiki o baraka.

Io sogno che tutti quanti nel tempio si dispongano in cerchio e chi ha qualcosa da dire parli, che chi vuole cantare canti, che chi vuole danzare danzare danzi, che chi vuol dipingere dipinga; che ci si interroghi sul mondo in cui viviamo su questo pianeta che abbiamo sotto i nostri piedi, sul nostro passaggio in questa vita attuale, sugli insegnamenti che ci hanno lasciato chi ci ha preceduto, sul senso del nostro essere qui ora in questo mondo, su quale è il futuro che ci attende.

Io sogno che nel tempio le persone imparino a conoscere e ad ascoltare se stessi, che imparino a conoscere e ascoltare le altre persone che abitano il mondo, che imparino a conoscere e ascoltare la natura e le forme di vita che abitano questo pianeta; che divengano consapevoli del loro essere e del essere del cosmo in cui viviamo.

Io sogno che tutti nel tempio trovino il loro spazio e il loro tempo per esprimersi, che tutti imparino ad esperimersi, che tutti possano condividere ciò che di buono hanno da dare in modo che chi vuol ricevere possa ricevere e che chi vuol dare possa dare.

E' o non è un bel sogno?

venerdì 9 settembre 2011

Vacanze a Borghetto

1 Commenti

Sono ormai quattro anni che le mie vacanze le faccio nella colonia marina dell'UNITALSI di Borghetto (paese attaccato a Loano) per disabili. Stare lì è come trovarsi su un altro pianeta, e si perde il contatto con il mondo così come di solito ce lo si aspetta.
Nella colonia ci sono tre categorie di persone: gli "ospiti" ovvero persone con disabilità varie, gli "accompagnatori" che si occupano degli ospiti e i "volontari" che lavorano nella colonia per pulire fare da mangiare, tenere la spiaggia ecc.... Tutti pagano il loro soggiorno, circa 500 € per due settimane, compresa la volontaria che ogni mattina fa il giro dei bagni della colonia per svuotare l'apposito bidone dei pannoloni sporchi (lei è la mia eronina!).
Si passano i giorni in compagnia di gente che non riesce a camminare a spingere le carrozzine e viene una gran voglia di camminare e di correre e di essere felici di potere farlo. Oppure di gente che non riesce a parlare e che cerca in ogni modo di comunicare a gesti, a versi a agitazioni e tu impari un po' alla volta il loro linguaggio. C'è gente che cammina e parla come tutti gli altri ma che sta li e ti guarda e non capisce il nostro strano mondo ma fa tutto ciò che riesce per poter inserirsi e far parte del gruppo.
E poi ci siamo noi che siamo gli accompagnatori, noi che spostiamo i corpi che non riescono a muoversi, che li imbocchiamo, che gli puliamo il culo, che gli diamo da bere; che gli compriamo le cartoline e gliele scriviamo su dettatura. Noi che potremmo andare a fare le vacanze a Sharm el Sheik ma che preferiamo andare li. E non lo facciamo perché siamo buoni, o perché vogliamo procurarci un posto in paradiso (quelli che hanno queste intenzioni durano poco), ma perché stare li fa bene al nostro spirito e alla nostra anima, perché stare li ci rende felici. Si si proprio così ci rende felici, felici di renderci utili e felici di imparare da loro, gli "ospiti" tutto quello che ci insegnano: la loro grande voglia di vivere e di togliersi le loro soddisfazioni nonostante possano apparire piccole cose di nessun valore: il modo come lottano per riuscire a comunicare e far capire a noi "quelli sani" quello che ci vogliono dire. E così si entra in contatto con noi stessi, col senso del nostro precario stare al mondo pur immersi in mille difficoltà, col senso profondo della vita.
A Borghetto si crea così una bella e profonda comunità di spiriti felici di stare assieme e di condividere il loro spirito si finisce così coll'immergersi completamente e l'amore che ci circonda ci riempie dentro.